KILL FEEL - recensione di Vanni Spagnoli
NEL NOME DI UN'IPOTESI
Forse perché anche lei è una impiegata "usa e getta", ogni giorno a convivere con una routine di gesti, di parole, di orari, fino all'ora di uscire, per assecondare ancora altra routine, per il rientro a casa. Finché non subisce uno stupro in ufficio. E dal disgusto misto a quella sorta di colpevolizzante attrazione per certe insopportabili violenze, nascono una consapevolezza ed una sicurezza nuova.
Remo, una storia atroce di abusi da parte
del padre, costretto per di più, dopo ogni violenza subita, all'ancor più
insopportabile ruolo di consolatore, coltiva da adulto, con matematica
precisione, il suo lavoro di killer a contratto: ottantaquattro omicidi, tanti
quanti gli abusi subiti. E come compenso, tutto interiore, la professione di
ginecologo, quasi ad affermare il desiderio di restituire vita per vita, di
offrire chance per una possibile normalità.
Linda e Remo si sfioreranno, nel
loro scontrarsi con la vita, finendo con il condividere un bersaglio, e forse
qualcosa di più: forse, perché, in questo racconto lungo scritto con la
consueta sapienza di tocco da Pietro Giuseppe Mavrulis, sulla carta si
incontrano solo ipotesi. Che sono poi un interrogare inquieto ed inquietante il
lettore sul ruolo che potrebbe trovarsi a recitare "se". E che alla
fine e malgrado tutto la vita continui come niente, non è che un accidente,
perché il possibile passato (e dunque il possibile futuro) induce a non
crogiolarsi sulle troppe decisioni non prese. Ed è garanzia salutare di
risvegli angosciati, quando non colmi di rimpianto, al pensiero di quello che
avremmo potuto essere e non siamo stati, rendendoci così, non foss'altro che in
rari momenti, consapevoli del coraggio indispensabile per compiere delle scelte,
anche quando è più facile e meno conflittuale lasciarsi semplicemente vivere.
Ipotesi stimolanti, appunto. Ottimo lavoro.
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